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Fiat, nuove regole per le fabbriche italiane
28/07/2010
di Giovanni Iozzia
Marchionne chiede garanzie, così Mirafiori e Pomigliano non a rischio. Tiepide le reazioni dei sindacati. Adesso le trattative per ogni singolo stabilimento
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Riunione a Torino per determinare il futuro degli stabilimenti Fiat in Italia. Un momento importantissimo alla luce dei tanti fatti che si sono svolti in queste ultime settimane: il referendum di Pomigliano D’Arco, le mobilitazioni di Menfi e di altri siti industriali, la nascita di Fabbrica Italia e l’annuncio della produzione in Serbia. All’incontro, che si è svolto nella sala della Giunta regionale del Piemonte, c’erano il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, l'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, i leader di Cgil, Cisl e Uil, Guglielmo Epifani, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, i segretari generali di Fiom, Fim, Uilm, Fismic e Ugl; il presidente della Regione Roberto Cota, della Provincia Antonio Saitta e il sindaco di Torino Sergio Chiamparino. Il primo a parlare è stato il presidente Cota poi è stata la volta del ministro del Maurizio Sacconi per il quale «Fabbrica Italia è importante. I numeri contenuti nel piano devono essere riconfermati. Ed è giusto che l’azienda investa garantendo il pieno utilizzo degli impianti». Il sindaco Chiamparino ha manifestato preoccupazione, definendo il piano «insostenibile senza Mirafiori dal punto di vista sociale ed economico».
Marchionne ha confermato il piano Fabbrica Italia. «Unica azienda - ha detto - ad investire 20 miliardi in Italia. Ma - ha aggiunto - dobbiamo avere garanzie che gli stabilimenti possano funzionare». La produzione della monovolume LO in Serbia «non toglie prospettive a Mirafiori. Esistono alternative per garantire i volumi di produzione» nella fabbrica torinese. Le nostre non sono minacce, ma non siamo disposti a mettere a rischio la sopravvivenza dell’azienda. Dobbiamo decidere se avere un settore auto forte in Italia - ha continuato Marchionne - o consegnarlo ai competitori esteri. Ci sono solo due parole che al punto in cui siamo richiedono di essere pronunciate una è sì, l’altra è no. Sì vuol dire modernizzare la rete produttiva italiana, no vuol dire lasciare le cose come stanno, accettando che il sistema industriale continui ad essere inefficiente e inadeguato a produrre utile e quindi a conservare o aumentare i posti di lavoro». «Se si tratta solo di pretesti per lasciare le cose come stanno – ha concluso Marchionne - è bene che ognuno si assuma la propria responsabilità sapendo che il progetto Fabbrica Italia non può andare avanti e che tutti i piani e gli investimenti per l’Italia verranno ridimensionati. Abbiamo l’opportunità di costruire una rete industriale in Italia che sia in grado di aumentare in modo significativo gli attuali volumi di produzione. Non sprechiamo questa opportunità».
Il segretario della Uil, Angeletti ha poi detto «Vogliamo riconquistare certezza e tranquillità che la produzione resti in Italia. A Mirafiori si devono fare vetture paragonabili alla LO o, meglio, anche di gamma più alta». Il leader della Cgil Epifani ricorda Pomigliano: «La cosa migliore prima di avventurarci su strade che non si sa dove possano portare è andare al confronto con la Fiom e lavorare per trovare una mediazione. Nessuno vuole una conflittualità permanente». Il segretario della Cisl Bonanni ha chiesto alla Fiat di «non perdere di vista che Fabbrica Italia non deve essere fatta a ’mo’ di caserma ma deve essere fatta in una realtà dove c’è coesione sociale, partecipazione e serenità: chi si pone fuori da questo si pone fuori da solo». Il segretario piemontese dell’Ugl, Giovanni Centrella chiede alla Fiat di rispettare gli accordi su Pomigliano e si “Fabbrica Italia” precisa: «Non firmeremo accordi che esulino dal contratto dei metalmeccanici». Al termine dell’incontro è stato stabilito che le trattative proseguiranno per ogni singolo stabilimento industriale con il coordinamento da parte del ministero del Lavoro. Sempre nella giornata di mercoledì, Marchionne incontrerà a Roma il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia. L'incontro servirà per trovare una soluzione alla possibile disdetta del contratto nazionale di lavoro da parte della Fiat. Questo a causa della nascita di Fabbrica Italia che è destinata ad assumere gli operai che lavoreranno alla produzione della Panda dal 2011. Marchionne, però, precisa: «Si parla molto della possibilità della Fiat decida di disdire il contratto dei metalmeccanici alla sua scadenza. Se necessario siamo disposti a farlo, ma non abbiamo nessun preconcetto. Per noi la cosa importante è raggiungere il risultato e avere la certezza di gestire gli impianti. Produrre a singhiozzo, con livelli ingiustificati di assenteismo, o vedere le linee bloccato per giorni interi è un rischio che non possiamo accollarci».
Sull’argomento interviene Pietro Ichino, giuslavorista e senatore del Partito Democratico. «Il contratto collettivo nazionale di lavoro dei metalmeccanici – spiega Ichino - è un contratto a termine. Come tutti i contratti a termine, esso non può essere disdetto da una delle parti unilateralmente prima della scadenza; non mi sembra, pertanto, che la Fiat possa sottrarsi alla sua applicazione prima della scadenza, fissata al 31 dicembre 2011». «Secondo l'orientamento oggi prevalente della giurisprudenza – continua Ichino - per poter derogare al contratto collettivo nazionale con effetti estesi a tutti i dipendenti dell'azienda, un contratto aziendale deve essere firmato da tutte le organizzazioni sindacali firmatarie del contratto nazionale. In ogni caso, la nuova società non potrà certamente mandare a casa quelli tra i vecchi dipendenti dello stabilimento di Pomigliano che non accettano il nuovo piano industriale: questo e' stato possibile nel caso Alitalia - aggiunge Ichino - perché l'impresa era in amministrazione straordinaria, ma non sarebbe possibile a Pomigliano, dove in questo caso si applica per intero la disciplina del trasferimento di azienda, che prevede il passaggio automatico di tutti i dipendenti dell'impresa cedente alle dipendenze dell'impresa acquirente». «Se lo scopo della Fiat – conclude Ichino - è quello di sottrarre lo stabilimento di Pomigliano al contratto nazionale dei metalmeccanici, l'unico modo sarebbe un accordo sulle regole, firmato da tutti i sindacati compresa la Fiom-Cgil, che riconosca alla coalizione maggioritaria il potere di contrattare anche in deroga rispetto al contratto nazionale, con effetti estesi a tutti i dipendenti».
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