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Si è conclusa la Conferenza di Copenaghen sul clima


19/12/2009

di Giovanni Iozzia

Raggiunto un accordo incompleto che lascia molti insoddisfatti. Tutto rinviato il prossimo anno nell’incontro di Bonn


Si è conclusa la Conferenza di Copenaghen sul clima Un accordo incompleto che lascia tutti più o meno insoddisfatti. E’ questo il risultato della 15° Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che si è svolta in questi giorni a Copenaghen. Alla fine è venuto fuori un documento composto da tre pagine, che ha come principale obiettivo quello di fissare un tetto di due gradi in più del riscaldamento globale rispetto al passato. Un aumento maggiore porterebbe, secondo gli esperti, a conseguenze disastrose per il nostro pianeta. Si parla, poi, di soldi: dal 2010 al 2012 vengono stanziati 30 miliardi di dollari e, poi, fino al 2020 altri 100 miliardi. Queste risorse saranno destinate in maniera principale ai paesi più poveri e quindi anche più deboli sul fronte ambientale e serviranno loro ad adottare tecnologie «pulite» per frenare l’impatto del cambiamento climatico.

In buona sostanza, si è preso semplicemente atto dell’accordo firmato da Stati Uniti, India e Cina, che la Conferenza di Copenaghen, peraltro non condiviso da diversi paesi, ha accettato senza nessuna adesione formale. Una soluzione adottata per evitare il fallimento totale dell’incontro che ha visto la partecipazione dei delegati di 193 nazioni. In pratica, è stato accolto l’appello lanciato dal presidente degli Stati Uniti, Barak Obama, che voleva un’intesa ad ogni costo, anche imperfetta. Ed è ciò che è realmente successo. In piena notte, dopo un’opposizione durissima da parte di molti paesi in via di sviluppo, America Latina e Africa con in testa Venezuela e Sudan, si è arrivati alla conclusione di non votare punto per punto, com’è procedura abituale, il documento conclusivo ma di «prenderne formalmente atto». Si tratta, quindi, di una formula «leggera» per non tornare tutti a casa con un «nulla di fatto».

Restano quindi aperte tutte le perplessità del caso. Innanzitutto nessun paese è veramente soddisfatto del risultato complessivo della conferenza. Il Brasile è assolutamente scontento mentre il rappresentante del Sudan, Lumumba Di Ping, leader dei paesi del G77, non ha usato mezzi termini: «E’ una violazione contro i paesi poveri – ha detto - contro la trasparenza e il senso comune». Usa più diplomazia l’Unione europea: «È molto meno di quanto speravamo, ma un accordo è meglio di nessun accordo e mantiene vive le nostre speranze». Le associazioni ambientaliste parlano apertamente di fallimento. Greepeace è durissima: «E’ stato un fiasco totale». Basta fare un solo esempio: non sono stati fissati i limiti sulle quantità limite dei “gas serra”.

Uno dei limiti fondamentali di Copenaghen è stato il mancato accordo sulla riduzione di almeno il 50 per cento delle emissioni di gas serra che è la condizione necessaria per raggiungere l'obiettivo fissato di non superare il 2 gradi di riscaldamento globale. Anzi, l’obiettivo di dimezzare le emissioni di anidrite carbonica entro il 2050, di cui fino ad ora si è parlato in ogni occasione, non è stato neppure citato a Copenaghen. Si riapre quindi la trattativa sui tempi. Ma è anche poco chiara tutta la questione concernente la deforestazione e il disboscamento, si riconosce che la loro limitazione darà un contributo importante all’equilibrio eco-ambientale del pianeta ma non si chiariscono del tutto le modalità di intervento al di là di una generica disponibilità di fondi.

Alla fine, si tratta solo di un semplice accordo e neppure «politicamente vincolante». L’unico accordo veramente raggiunto è quello di incontrarsi ancora. La prossima conferenza si terrà a Bonn entro sei mesi e servirà da prologo a quella di Città del Messico prevista per la fine del 2010. Adesso bisogna preparare bene il lavoro perché anche questi due appuntamenti non falliscano come quelli precedenti.

Il mondo si trova infatti davanti ad una inoppugnabile verità: sul clima fino ad ora si è realizzato solo un G2, quello tra Cina e Stati Uniti, che sono i maggiori produttori di gas. La genericità degli accordi e l’assoluta mancanza di vincoli legali lasciano entrambi liberi di procedere ma, almeno, a Copenaghen è emersa la loro volontà di mutare atteggiamento. Quando e come, non lo sa nessuno. Il presidente della Commissione europea, Manuel Barroso, con il presidente di turno dell’Ue e il primo ministro svedese Fredrik Reinfeldt, durante una conferenza stampa notturna hanno dovuto riconoscere la necessità dell’accordo auspicando migliori fortune nel futuro. Ed anche il presidente francese, Nicolas Sarkozy, alla fine ha accettato la soluzione adottata perché «è oggettivamente arduo mettere d'accordo gli interessi di 193 nazioni».

L’Europa, è evidente, si trova in grande imbarazzo. Si dovranno aspettare ancora alcuni mesi prima di intravedere possibili soluzioni definitive ed efficaci, ma quando tempo ancora il mondo potrà aspettare prima che la situazione generale degeneri in maniera irreversibile?


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