Notizie
Marchionne e il dopo Mirafiori
18/01/2011
di Giovanni Iozzia
Il nuovo contratto anche a Melfi e Cassino. Fiat: la testa a Torino, a Detroit, in Brasile, in Turchia, forse anche in Cina; ma il cuore in Italia
|
Sergio Marchionne, dalle pagine del quotidiano La Repubblica lancia il suo messaggio dopo l’esito favorevole del referendum di Mirafiori: «Rompere il sistema ingessato dove tutti sanno che noi imprese italiane siamo fuori dalla competitività, non possiamo farcela, eppure tutti fanno finta di niente». E ancora: «La sfida è quella di aumentare i salari, arrivando al livello della Germania e della Francia e alla partecipazione degli utili ai dividendi. Ma prima di parteciparli gli utili dobbiamo farli» e infine: «Non c'è alternativa al fatto che il nuovo contratto, dopo Pomigliano e Mirafiori investirà anche Melfi e Cassino. «Non possiamo vivere in due mondi. Io spero che, visto l'accordo alla prova, non vorranno vivere nel secondo mondo nemmeno gli operai». Questi i temi fondamentali dell’intervista ma c’è pure tanto altro.
Marchionne, precisa che non ci sarebbe stato alcun dubbio, se avesse vinto il no la Fiat sarebbe andata via da Mirafiori. «Non avremmo avuto altra scelta». Lo avrebbero imposto le leggi del mercato. E adesso basta con le trattative, si va vanti. «Per me Mirafiori ha deciso, e io sto al risultato, che è un risultato molto importante». Le difficoltà sono nate, secondo Marchionne perché «la Fiom ha costruito un capolavoro mediatico, mistificando la realtà, ma ci è riuscita. Noi, che siamo presenti in tutto il mondo, con una forza di 245 mila persone, ebbene dal punto di vista culturale siamo stati una ciofeca, la più grande ciofeca, e la colpa è soltanto mia. Perché ho sottovalutato l'impatto mediatico di questa partita, ho sottovalutato un sindacato che aveva obiettivi politici e non di rappresentanza di un interesse specifico, come invece accade negli Usa».
Alla domanda del giornalista se lui avesse cercato la rottura, Marchionne sorpreso risponde: «Perché avrei dovuto volere la rottura? Quel che volevo rompere era questo sistema ingessato, dove tutti sanno che noi imprese italiane siamo fuori dalla competitività, non possiamo farcela, eppure tutti fanno finta di niente. Ho tirato avanti per quasi sette anni, poi una notte ad aprile mi sono detto basta. Io metto sul piatto 20 miliardi, accetto la sfida, ma voglio che quei soldi servano, dunque voglio garantire la Fiat e chi ci lavora. Cambiamo le regole per garantire l'investimento attraverso il lavoro. E' l'unica strada. Non solo: a dire il vero è l'ultima strada».
Poi l’amministratore delegato della Fiat parla delle difficoltà del momento: «Staccata la spina degli incentivi, il mercato va giù. Lo sapevamo. Aspettiamo che si svuoti il tubo, nella seconda metà del 2011, e vediamo. Per quel momento avremo la nuova Y e la nuova Panda. Sta arrivando tutta la gamma Lancia, rifatta con gli americani, la Giulietta è appena uscita, la Jeep verrà prodotta qui in 280 mila esemplari all'anno, per tutto il mondo. E grazie a Chrysler, l'Alfa arriverà in America, con una rete di 2 mila concessionari, e farà il botto». Ed esclude che si possa vendere neppure uno dei gioielli di famiglia.
Infine, Marchionne rassicura che il cuore dell’azienda rimarrà in Italia anche se avrà più teste: a Torino, a Detroit, in Brasile, in Turchia, forse in Cina. «Il Centro Stile rimane qui, in Italia, dunque il design, ma anche i progetti, le piattaforme di origine: la piattaforma della Giulietta è nata qui, è stata riadattata negli Usa adesso torna qui per fare da base ai Suv Jeep e Alfa». L’era Marchionne è appena cominciata ed è probabile che l’intero sistema industriale italiano, pian piano, comincia ad adeguarsi alle sue innovazioni. Per il resto, armonizzarle con lavoro e società, è una sfida per tutti.
|
| |
|
|